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HOW IT ALL STARTED

HOW IT ALL STARTED

Era il luglio 1991, io mi trovavo con i miei nonni americani, i genitori della prima famiglia che mi ha ospitato in America. Ero lì da un paio di mesi quando abbiamo deciso di fare questa gita a Disneyland. Siamo partiti in macchina da Carson City a Nord del Nevada mettendoci circa sei ore. Mi ricordo chiaramente questo episodio: eravamo lì nel parco e c’era la mia nonna americana sulla sedia a rotelle. Io indossavo questo cappellino di una squadra che nemmeno ricordo, era bianco e marroncino e lo tenevo girato all’indietro come mi capitava spessissimo di fare in Italia. Lei a un certo punto mi ha urlato “Fabio, turn your hat around!”, messaggio che da neofita americano non sono riuscito subito a capire. Confuso, mentre lei veniva verso di me ho riportato la visiera sulla mia fronte appena in tempo per accorgermi di questo gruppo di sette o otto ragazzi ispanici, più o meno della mia età, tutti vestiti con canottiera bianca, catena e pantalone baggy. Lì la nonna  e suo marito mi hanno spiegato in modo approssimativo che quel gruppo faceva parte di una gang. Nel periodo di preparazione fatto a New York ci avevano parlato dei problemi di gang affiliation, spaccio di droga e controllo dei territori da parte di blood e crips, ma non avevo mai visto da vicino questa realtà che fino ad allora mi era sembrata distante. 

A distanza di qualche mese è venuto nella Douglas High School lo sceriffo di contea per mostrarci un video che illustrava tutta una sequenza di gang, hand signs, elementi di affiliazione: all’epoca quando due gang rivali si incontravano la prima cosa che facevano per capire l’appartenenza a un gruppo piuttosto che un altro facevano questa cosa di “throwing up hand signs”, che tendenzialmente scatenava rissa o omicidi.

La presenza dello sceriffo era legata alla fuga degli affiliati da Los Angeles verso le contee limitrofe e a un timore da parte delle autorità che questi personaggi arrivassero anche lì.

Ma nella mia scuola c’erano solo un ispanico e un nero, per il resto eravamo tutti caucasici, quindi queste cose non appartenevano alla bolla in cui eravamo abituati a vivere e le varie raccomandazioni in quel momento scatenavano solo ilarità. Nonostante per noi in quel momento fosse fantascienza, da lì a un paio di anni quei timori si sono rivelati fondati e alla Douglas High School insieme a chi fuggiva da Los Angeles sono arrivati i metal detector. Al principio di tutti i problemi era stata la famigerata rivolta di Los Angeles, nata in seguito al pestaggio da parte di agenti della polizia - poi assolti -  nei confronti di Rodney King.

Il rigido dress code imposto dalla High School

 

Tutto questo ovviamente si era tradotto anche in un rigido dress code imposto dal liceo per evitare che girassimo con i colori sbagliati: no rosso (rappresentativo dei Bloods), no blu (dei Crips), no teschi..e la lista continuava.


Nel corso dei mesi facendo parte di una crew di skater ho iniziato a toccare con mano una sorta di peer pressure sotto il profilo estetico per cui se ti mettevi i pantaloni troppo stretti con un orlo diverso, piuttosto che la visiera del cappello curva anzichè dritta, i capelli bleached in un determinato modo e altri infiniti dettagli, rientravi in determinate sottoculture. Il dress code eliminando determinati elementi e imponendo forzosamente una scelta nei capi da indossare aveva delineato una determinata ricerca estetica.


Questa consapevolezza nella scelta di cosa indossare e come indossarlo l’ho acquisita per la prima volta lì, nella primavera del ‘92; prima di allora - soprattutto in Italia - non era mai stata una cosa così definita per me.

 

Annuario e diploma della Douglas High School

 

 

 

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